Ziganoi L’umano gioco
Un quadro d’insieme
Rotondità canora dei miei sensi, senza alti né bassi,
come le immagini pastose di quelle VELE fatte per na-
vigare tutte dentro il mio occhio
(e nei fiori variopinti del cervello)
[Guglielmo Jannelli, da L’arcobaleno dei miei sensi, 1926]
Il cromodinamismo insito ed espungibile dalle Optische Poesie, nutrite dall’intelletto pluri-immaginifico dell’extravagante, quanto fantasioso precursore, il tedesco Oskar Fischinger (1900-1967), sembra inconsapevolmente raccolto dalla struttura segnica di Ziganoi (alias Ignazio Cammalleri). Egli si accosta a tale dispositivo intellettuale con la sua circolarità di marchi, di efflorescenze pigmentarie, d’involucri e intrecci, tutti oggetti visivi pensati in movimento e che non soddisfano a pieno, o almeno non acquietano, il suo furor creativo; una tensione del ‘fare’ capace di consegnarci una continua, non aggressiva, fisiologia germinante.
I magnetismi rilasciati da quest’artista sembrano guidarci verso la necessaria perentorietà del gesto e, non a caso, della sua componente ludica, in una sorta di imbrigliamento del flusso operativo, in quelli che sono i punti giunzionali di ogni inequivocabile quotidiano conflitto, sempre alla ricerca di un bilanciamento naturale legato alla dimensione delle cose, e, contemporaneamente, al fragile temperamento che le cose, a modo loro, ci restituiscono.
Il percorso attuale di Ziganoi apre tutti i versanti della sua ricognizione nella continua pratica del mondo accessibile, e, allo stesso tempo, indagandolo nell’astrazione, in quel suo intrigo soltanto in apparenza solitario.
Tale suo mondo della rappresentazione si dispone quale sostanza primaria che ha fatto della percezione la propria ragione creativa. Il cammino affrontato sembra condurlo verso approcci sinestetici tra terra e spazio, accompagnati dall’avvolgente rullio del piano comportamentale.
C’è da notare come il paesaggio degli oggetti, nelle plurime morfologie di Ziganoi, si relazionino lentamente con una costruenda poetica nella quale, abbandonando le linee che furono storicamente della “nuova figurazione”, e con un sollecito attingere ai moduli pertinenti della frammentazione del simbolo e soprattutto dell’astrazione gestaltica, si rivelano come percorsi indefettibili, proprio in virtù dell’impegno primario della loro dinamica interiore. Condizioni, queste, che sono sostenute dall’intensità consapevole di tracciati, e di quell’affollarsi dei corpi geometrici articolati, particolarmente, anche nella loro essenziale qualità tonale. Un procedere che insiste sulle sue necessarie visioni, le quali, sempre più vanno qualificando un personale linguaggio posto al servizio d’una ricorrente immagine poetica. I segni di tale forza, riversata nel diorama delle proprie invenzioni (e fuori dalla logica descrittiva), connotano figure capaci di affidarsi alla conflagrazione dei vari elementi del postmoderno per quel tanto che si renda sufficiente a prendere distanza dallo stereotipo.
Su tale versante si registra uno spessore pittorico arricchito dalla cultura figurativa di base, non obliata, né tanto meno deplorata, per quel mantenere nella dovuta considerazione le puntuali emersioni iconiche che puntellano il proprio destrutturato linguaggio. Per Ziganoi ciò si pone come crescita del suo lessico sempre ben nutrito dall’osservazione riflessa dal mondo visionario, poi sceso nelle fratture impervie della realtà, tanto che in ogni momento esso ci appare quale condizione emozionale, empatica: una costante utile presenza al progredire del proprio registro comunicativo. Il desiderio di avvertire e potenziare l’abbandono delle effigi, pur trattenendo a sé il senso raffigurativo, certo meno intimo delle cose, gli consente di ricodificare la ricerca più attuale della sua pittura.
Ziganoi L’umano gioco
Un quadro d’insieme
Rotondità canora dei miei sensi, senza alti né bassi,
come le immagini pastose di quelle VELE fatte per na-
vigare tutte dentro il mio occhio
(e nei fiori variopinti del cervello)
[Guglielmo Jannelli, da L’arcobaleno dei miei sensi, 1926]
Il cromodinamismo insito ed espungibile dalle Optische Poesie, nutrite dall’intelletto pluri-immaginifico dell’extravagante, quanto fantasioso precursore, il tedesco Oskar Fischinger (1900-1967), sembra inconsapevolmente raccolto dalla struttura segnica di Ziganoi (alias Ignazio Cammalleri). Egli si accosta a tale dispositivo intellettuale con la sua circolarità di marchi, di efflorescenze pigmentarie, d’involucri e intrecci, tutti oggetti visivi pensati in movimento e che non soddisfano a pieno, o almeno non acquietano, il suo furor creativo; una tensione del ‘fare’ capace di consegnarci una continua, non aggressiva, fisiologia germinante.
I magnetismi rilasciati da quest’artista sembrano guidarci verso la necessaria perentorietà del gesto e, non a caso, della sua componente ludica, in una sorta di imbrigliamento del flusso operativo, in quelli che sono i punti giunzionali di ogni inequivocabile quotidiano conflitto, sempre alla ricerca di un bilanciamento naturale legato alla dimensione delle cose, e, contemporaneamente, al fragile temperamento che le cose, a modo loro, ci restituiscono.
Il percorso attuale di Ziganoi apre tutti i versanti della sua ricognizione nella continua pratica del mondo accessibile, e, allo stesso tempo, indagandolo nell’astrazione, in quel suo intrigo soltanto in apparenza solitario.
Tale suo mondo della rappresentazione si dispone quale sostanza primaria che ha fatto della percezione la propria ragione creativa. Il cammino affrontato sembra condurlo verso approcci sinestetici tra terra e spazio, accompagnati dall’avvolgente rullio del piano comportamentale.
C’è da notare come il paesaggio degli oggetti, nelle plurime morfologie di Ziganoi, si relazionino lentamente con una costruenda poetica nella quale, abbandonando le linee che furono storicamente della “nuova figurazione”, e con un sollecito attingere ai moduli pertinenti della frammentazione del simbolo e soprattutto dell’astrazione gestaltica, si rivelano come percorsi indefettibili, proprio in virtù dell’impegno primario della loro dinamica interiore. Condizioni, queste, che sono sostenute dall’intensità consapevole di tracciati, e di quell’affollarsi dei corpi geometrici articolati, particolarmente, anche nella loro essenziale qualità tonale. Un procedere che insiste sulle sue necessarie visioni, le quali, sempre più vanno qualificando un personale linguaggio posto al servizio d’una ricorrente immagine poetica. I segni di tale forza, riversata nel diorama delle proprie invenzioni (e fuori dalla logica descrittiva), connotano figure capaci di affidarsi alla conflagrazione dei vari elementi del postmoderno per quel tanto che si renda sufficiente a prendere distanza dallo stereotipo.
Su tale versante si registra uno spessore pittorico arricchito dalla cultura figurativa di base, non obliata, né tanto meno deplorata, per quel mantenere nella dovuta considerazione le puntuali emersioni iconiche che puntellano il proprio destrutturato linguaggio. Per Ziganoi ciò si pone come crescita del suo lessico sempre ben nutrito dall’osservazione riflessa dal mondo visionario, poi sceso nelle fratture impervie della realtà, tanto che in ogni momento esso ci appare quale condizione emozionale, empatica: una costante utile presenza al progredire del proprio registro comunicativo. Il desiderio di avvertire e potenziare l’abbandono delle effigi, pur trattenendo a sé il senso raffigurativo, certo meno intimo delle cose, gli consente di ricodificare la ricerca più attuale della sua pittura.
Ziganoi L’umano gioco
Un quadro d’insieme
Rotondità canora dei miei sensi, senza alti né bassi,
come le immagini pastose di quelle VELE fatte per na-
vigare tutte dentro il mio occhio
(e nei fiori variopinti del cervello)
[Guglielmo Jannelli, da L’arcobaleno dei miei sensi, 1926]
Il cromodinamismo insito ed espungibile dalle Optische Poesie, nutrite dall’intelletto pluri-immaginifico dell’extravagante, quanto fantasioso precursore, il tedesco Oskar Fischinger (1900-1967), sembra inconsapevolmente raccolto dalla struttura segnica di Ziganoi (alias Ignazio Cammalleri). Egli si accosta a tale dispositivo intellettuale con la sua circolarità di marchi, di efflorescenze pigmentarie, d’involucri e intrecci, tutti oggetti visivi pensati in movimento e che non soddisfano a pieno, o almeno non acquietano, il suo furor creativo; una tensione del ‘fare’ capace di consegnarci una continua, non aggressiva, fisiologia germinante.
I magnetismi rilasciati da quest’artista sembrano guidarci verso la necessaria perentorietà del gesto e, non a caso, della sua componente ludica, in una sorta di imbrigliamento del flusso operativo, in quelli che sono i punti giunzionali di ogni inequivocabile quotidiano conflitto, sempre alla ricerca di un bilanciamento naturale legato alla dimensione delle cose, e, contemporaneamente, al fragile temperamento che le cose, a modo loro, ci restituiscono.
Il percorso attuale di Ziganoi apre tutti i versanti della sua ricognizione nella continua pratica del mondo accessibile, e, allo stesso tempo, indagandolo nell’astrazione, in quel suo intrigo soltanto in apparenza solitario.
Tale suo mondo della rappresentazione si dispone quale sostanza primaria che ha fatto della percezione la propria ragione creativa. Il cammino affrontato sembra condurlo verso approcci sinestetici tra terra e spazio, accompagnati dall’avvolgente rullio del piano comportamentale.
C’è da notare come il paesaggio degli oggetti, nelle plurime morfologie di Ziganoi, si relazionino lentamente con una costruenda poetica nella quale, abbandonando le linee che furono storicamente della “nuova figurazione”, e con un sollecito attingere ai moduli pertinenti della frammentazione del simbolo e soprattutto dell’astrazione gestaltica, si rivelano come percorsi indefettibili, proprio in virtù dell’impegno primario della loro dinamica interiore. Condizioni, queste, che sono sostenute dall’intensità consapevole di tracciati, e di quell’affollarsi dei corpi geometrici articolati, particolarmente, anche nella loro essenziale qualità tonale. Un procedere che insiste sulle sue necessarie visioni, le quali, sempre più vanno qualificando un personale linguaggio posto al servizio d’una ricorrente immagine poetica. I segni di tale forza, riversata nel diorama delle proprie invenzioni (e fuori dalla logica descrittiva), connotano figure capaci di affidarsi alla conflagrazione dei vari elementi del postmoderno per quel tanto che si renda sufficiente a prendere distanza dallo stereotipo.
Su tale versante si registra uno spessore pittorico arricchito dalla cultura figurativa di base, non obliata, né tanto meno deplorata, per quel mantenere nella dovuta considerazione le puntuali emersioni iconiche che puntellano il proprio destrutturato linguaggio. Per Ziganoi ciò si pone come crescita del suo lessico sempre ben nutrito dall’osservazione riflessa dal mondo visionario, poi sceso nelle fratture impervie della realtà, tanto che in ogni momento esso ci appare quale condizione emozionale, empatica: una costante utile presenza al progredire del proprio registro comunicativo. Il desiderio di avvertire e potenziare l’abbandono delle effigi, pur trattenendo a sé il senso raffigurativo, certo meno intimo delle cose, gli consente di ricodificare la ricerca più attuale della sua pittura.